Monte Generoso

Il Baraghetto

La parola Baraghetto ha un’origine celtica : barros, ossia ‘cespuglio’ e per estensione ‘zona cespugliosa’ ; ma è riconducibile anche a barc o barchin o baraghett, che significano ‘zona recintata dove si tiene il bestiame’[1]. È possibile che in tempi lontani vi si facessero pascolare le capre o altro bestiame capace di muoversi in questi terreni dirupati ; quel che si vede adesso è però la cespugliosità intensa del pendio roccioso sotto la vetta ; per salire lí quando non c’erano ancora cavi né scalette né ferrate era infatti indispensabile attaccarsi ai cespugli. Questa zona era nota anche a Luigi Lavizzari che ne parla, senza però usare la parola ‘Baraghetto’ né alcun altro termine indicato attualmente sulle cartine topografiche. Quando all’inizio delle sue « Escursioni nel Cantone Ticino » descrive il Monte Generoso, a proposito di questa parete volta verso Rovio dice : « la parte che domina sul Ceresio è nuda, scoscesa e spaventevole. Ivi la roccia sfasciandosi si atteggia in enormi dirupi isolati, che hanno aspetto di potenti colonne e di torri. Questa roccia schistosa sfaldasi in lastre grosse poco piú di un dito, che divelte trabalzano fra orrendi precipizi »[2]. Se per secoli ha servito da pascolo al bestiame della regione, al tempo di Lavizzari si veniva lí a rifornirsi di pietre per la costruzione : « Ci sentimmo rabbrividire allorché vedemmo parecchi uomini scendere con ardito passo ne’ labirinti di quelle orride rupi e risalire recando sulle spalle lastre di pietra d’un metro di superficie per caricarle poi sovra i muli e trasportarle nella Valle Intelvi per ricoprire i tetti di quei villaggi. Un uomo ne porta una e talvolta due, con evidente pericolo della vita. Non fu raro il caso di chi sdrucciolando negli abissi si sfracellò il corpo prima di toccare il fondo ». Questo versante del Generoso è sempre stato percorso dalla gente del posto e di fuori. Già abbiamo detto nel secondo capitolo della marcatura, nel 1907, da parte del CAS Ticino del sentiero da Rovio alla vetta ; probabilmente si trattava del sentiero già esistente percorso dal Lavizzari, che ne dà una rapida descrizione : « Dalle cime del Generoso un ripido sentiero scende per la pendice O.N.O. praticabile solo da chi è avvezzo a percorrere con passo sicuro i dirupi. Lungo la discesa veggonsi, nei recessi dei valloncelli, piccoli depositi di neve che la stagione estiva non disgela, e curiose piante tra le quali le peonie, i cui bellissimi fiori fermano da lungi lo sguardo »[3].

Dopo la Prima guerra mondiale questa zona attirò l’attenzione delle autorità svizzere e italiane che, tra il 1923 e il 1926, decisero di chiarire alcuni particolari riguardanti il confine al Sasso Bovè e alla Valle di Grotta fino al Baraghetto e oltre[4]. È in questo contesto ch’entra in scena Angelo Gianola, maggiore delle guardie di confine, piú tardi ufficiale dell’Esercito e delle Dogane presso il IV circondario[5]. Il problema che gli si chiedeva di risolvere era di trovare una via per raggiungere la vetta dal versante WNW del Generoso senza dover passare su territorio italiano. Fu cosí che nel 1926 Gianola reperí una via attraverso un canalone, poi chiamato ‘Canalone Gianola’, reso praticabile mediante una cordina metallica di 50 m. Nel 1941 Gianola sistemò poi una ‘Variante’ per rendere piú facilmente raggiungibile la vetta, a partire dall’alpe Perostabbio, ai meno esperti e agli agenti che prestavano servizio col cane. Nel 1942 vennero apportate migliorie e molto probabilmente non ce ne furono piú altre sino all’inizio degli anni 2010 quando, dietro iniziativa della SAT Mendrisio, una squadra di volontari diretta da Luciano Mollard, ha rimesso a nuovo, dopo un lungo e non facile lavoro, la Variante – primo sentiero bianco e blu ufficiale del Sottoceneri – che fu inaugurata il 16 settembre 2018.

Per gli alpinisti il ‘personaggio’ piú famoso del Baraghetto è il cosiddetto Gendarme. Si tratta di un massiccio pilastro formato da rocce dalla solidità variabile, talvolta frammista ad erba[6]. Oggigiorno si sconsiglia agli arrampicatori di cimentarsi con questo campanile di calcare, ma per un paio di decenni a partire dagli anni ’30 era qui la palestra preferita dei rocciatori del Mendrisiotto, forse perché piú facilmente raggiungibile dei Denti della Vecchia. Si dice che la scalata era cosí difficile a causa della roccia malsicura che quando i nostri si trovavano poi di fronte alle pareti di granito o calcare duro in Vallese o nei Grigioni ‘sa lecàvan i barbis’ !


       L’arrivo in vetta dei rocciatori di Chiasso

Le prime scalate del Gendarme sono state compiute dai rocciatori delle ancora sezioni UTOE di Lugano e Chiasso. Per quanto riguarda i Chiassesi la loro arrampicata, stando a Sci e Piccozza del settembre 1938, è dell’estate di quell’anno. La via B, dal lato NO, è stata aperta da G. Chiesa, C. Ferrari e P. Chiesa : « Dall’attacco abbastanza facile si sale per circa 8 metri tra erbe e roccia e si arriva su un piccolo terrazzo, sotto uno strapiombo abbastanza pronunciato (...) Di qui ci si sposta sullo spigolo sinistro, molto esposto, e si sale per circa 5 metri, sempre strapiombanti, impiegando 6 chiodi. Si giunge su un tratto di roccia friabilissima, ricoperta da malsicuri ciuffi d’erba (molto difficile) indi si prosegue per altri 4 metri sino ad una piccola grotta (...) Dalla grotta ci si sposta per circa 2 metri a destra, quindi si sale per altri 5 metri su roccia abbastanza sicura ma molto esposta (...) Si continua per traversata a sinistra (...) quindi salendo per altri 10 metri su roccia verticale e friabile si giunge alla sommità ». Tempo di percorrenza 2h30 e impiego di 13 chiodi.


       Vie B e A al Genderme

Per percorrere la via C i chiassesi B. Gaffuri, A. Cairoli e F. Benedetti hanno impiegato 3h30 ; occorre dire che la via era di una dozzina di metri piú lunga : « La prima parte che si presenta all’occhio singolarmente facile, si manifesta invece subito molto insidiosa, principalmente a causa dei sassi erranti e friabili. Pare, saliti pochi metri, che questa via non presenti quel po’ di sicurezza voluto dalla prudenza, ma si riesce a trovare, nel mezzo della parete, un passaggio abbastanza solido che, leggermente strapiombando, porta ad una piccola cengia d’erba (...) Da qui, riportandosi a sinistra, si entra (...) in uno stretto caminetto (...) Sopra una cengia d’erba abbastanza larga si traversa sopra il punto d’attacco (...) Si riprende salendo dritto per circa 3 metri (...) fino a raggiungere lo spigolo. Qui stanno probabilmente le difficoltà della salita. Con molta prudenza, causa la roccia che si sgretola fra le mani e dei ciuffi d’erba che ad essa si mescolano, si continua sullo spigolo, fino a raggiungere la cima »[7].

Discesa corda doppia dal Gendarme

Per la primavera del 1939 la neocostituita sezione di Mendrisio (ancora UTOE) aveva messo in programma una gita al Generoso passando dal Baraghetto. Carlo Torriani ne dà una breve descrizione in Sci e Piccozza del mese di maggio 1939 : « Oltre una ventina i partecipanti. Numerose pure le Utoeine, e tutti impazienti di saggiare quel ripido versante. Comodo è il sentiero fino all’Alpe di Perostabio. Piú su, pendii erti, rocce, che fanno da paravento ai canaloni, coperti ancora di neve. Uno scenario che offre a formato ridotto una visione di alta montagna, col suo bravo ‘gendarme’ alto come un campanile (...) Si impartiscono le prime nozioni di tecnica alpinistica. Fa un poco freddo, è da un’ora che il sole lo vediamo sulle creste. A mezzogiorno calpestiamo la neve, la quale ancora imbianca la vetta.... ». La Variante Gianola non esisteva ancora ; da dove saranno saliti ? dal canalone ? il nostro relatore non lo dice...

1940 Perostabio, Nino Delfanti e Carlo Spinelli

Nell’estate del 1942 la sezione di Mendrisio – già SAT – non appena il maggiore Gianola ha ottimizzato la Variante da lui aperta l’anno prima, ha organizzato una gita al Generoso passando dal Baraghetto. Ne dà un resoconto sempre Carlo Torriani nelle pagine di Sci e Piccozza del settembre 1942 : « (...) Si sale per la direttissima del Baraghetto (...) Il sentiero già ripido all’attacco ci porta, a furia di scarponare con passo lento ma continuo all’Alpe di Perostabio che fino a qualche anno fa, quando non si viaggiava coi buoni dei pasti in tasca, avevamo ribattezzato col nome di Alpe Rüsümada. È un terrazzo verde di poco respiro che ci ospita il tempo di mangiare una mela. Su questa gobba del monte crescono ai primi calori d’estate, tra botton d’oro, margherite e piante di lamponi, le peonie rosse descritte dal Lavizzari. Di qui ha inizio la parte piú interessante della salita ; appena superato un rimasuglio di bosco, oltre l’alpe eccoci ai famosi burroni del Baraghetto dove una diecina d’anni or sono aveva inizio l’alpinismo a quattro mani. Ora la salita è resa meno ingrata da un sentiero che ci porta in alto per direttissima come una teleferica. (...) Sotto il ‘gendarme’ lasciamo il Baraghetto per un sentiero ricavato di fresco dalle guardie federali che ha il pregio di portarci a spasso su un bel versante del monte senza incontrare alcuna difficoltà. È la variante una via piacevole che ci permette di sostare su piccole cengie a godere da un posto di prima fila, distinto ed arioso, del bellissimo e travagliato aspetto di questa parete che ci richiama visioni di alta montagna. Troppe corde che avrebbero potuto essere razionate aiutano la salita che cosí, eccessivamente addomesticata, sarà presa d’assalto da improvvisati alpinisti che raggiunta la vetta col comodo e troppo invitante trenino in seguito scenderanno in brevi istanti su queste ospitali rocce (...) Non proveranno quel sano ed umano orgoglio che noi [provammo] quando giungemmo per la prima volta sull’aerea vetta del Baraghetto : allora mi era sembrato di essere giunto in cima all’albero della cuccagna ».

Canalone Gianola, foto ricevuta da David Stracquadanio, CAS Ticino

Come detto in precedenza, in vetta al Generoso ci si poteva arrivare anche passando dal Canalone Gianola ; ma nel 1946 ignoti rimossero il cavo che aiutava la salita a chi era poco pratico. Un alpinista chiassese, Romeo Bernasconi, ne fece un giorno d’autunno l’amara scoperta ; di fronte a questa scomparsa misteriosa i ricordi affiorano alla sua memoria e li affida, con accenti quasi pascoliani, alle colonne di Sci e Piccozza (Dicembre 1946). Il lettore odierno sarà sorpreso di come un oggetto comune quale una corda metallica, ma indispensabile come una mano soccorritrice, possa suscitare sentimenti d’affetto : « (...) Povera vecchia corda, che un pioniere dell’alpinismo ticinese ti aveva amorosamente appesa in cima al canalone, che porta ormai il suo nome. Povera vecchia corda, che aiutasti nell’ascesa migliaia di escursionisti di ogni sesso ed età ; stretta ora da mani incallite e salde, ora da mani gentili e tremanti ; quante cose potresti raccontare d’aver veduto ed udito e patito nella tua lunga vita. Sepolta nella gelida coltre invernale, battuta dai venti, lavata dalla pioggia, colpita perfino dai fulmini, ma pur anche baciata dal nostro bel sole meridionale ! E mi diresti innanzitutto che ti fissarono (...) per aiutare nel loro duro e pericoloso lavoro coloro che sono chiamati a tutelare la legge doganale. Ma che una volta fissata in posto servisti di sostegno e d’aiuto anche alla innumerevole schiera di coloro che alla montagna dedicano le loro migliori ore di svago ; a coloro che preferiscono la dura e faticosa erta alle moderne comodità della ferrovia ad ingranaggi. E fors’anche mi sussurreresti nell’orecchio d’aver servito, nella notte oscura, a persone calzate di silenziosi peduli, carichi di roba da passare (in barba alle leggi) di qua e di là dal confine. Eh ! sí, vecchia corda, lo so che tu aiutasti e il buono e il cattivo, e l’onesto e il disonesto, senza distinzione ! Mi venne voglia, giorni or sono, di salire a salutarti, a stringerti ancora nelle mie vecchie mani, per ritrovare in te la fida amica nelle mie scorribande. Ma giunto all’imbocco del canalone, che mai ? non c’eri piú, vecchia corda. Sparita ! Levata ? Rubata ? (...) Ed allora su ! a quattro gambe, su per la roccia slavata dal tempo e lucidata dai chiodi degli scarponi ; su lentamente con cautela fin dove tu eri prima ancorata, mia vecchia corda scomparsa. E di lí, in due salti, verso il bel sole del Baraghetto, mentre la cima del Generoso già nereggia di gente salita col treno. (...) Ma, e la vecchia corda del Baraghetto ? Chi mi disse poi essere stata fatta scomparire dai contrabbandieri per impedire alle guardie di aggirarli nottetempo ; chi mi raccontò con aria di mistero che invece l’abbiano levata le stesse guardie per rendere impossibile la salita e la discesa del canalone, di notte, ai contrabbandieri. Chi infine assicura che la scomparsa sia dovuta ad un banalissimo furto !».


       Luciano Mollard, il Baraghetto oggi

Enrico Valsangiacomo, 2074 Marin-Epagnier


[1] Ringrazio sentitamente Franco Lurà per la spiegazione etimologica. Vedi anche Maurice Brandt / Giuseppe Brenna, Guida delle Prealpi ticinesi 5, Edizioni del CAS, 1997, p.51.

[2] Luigi Lavizzari, Escursioni nel Cantone Ticino, Locarno, Armando Dadò Editore, 1988, pp. 26-27.

[3] Luigi Lavizzari, op. cit., p. 27.

[4] Adolfo Bächtold, Gino Macconi, Il Monte Generoso, Collana del Mosaico 2, 1969, p. 37.

[5] Giuseppe Brenna ne dà un breve ma ben fatto profilo biografico nella Guida..., op. cit. pp. 549-551.

[6] M. Brandt – G. Brenna, Guida... op. cit. p. 578.

[7] Nella Guida di M. Brandt e G. Brenna, op. cit., p. 578 si dice che Ruggero Cappelletti fu il primo salitore del Gendarme e viene riprodotto uno schizzo con le due vie da lui aperte il 2 e il 9 agosto 1942. A prima vista sembrano le vie A e B dei rocciatori di Lugano e Chiasso. Ciò non toglie, come dice bene la Guida, che l’impresa di Castelletti – e di chi l’ha preceduto – rimane ancor oggi di notevole valore (p.580).